Dr. Mauro Felletti
Questa patologia, fortemente in aumento rispetto a trenta anni fa, suggerisce che ciò dipenda dai mutamenti sociali, familiari ed educativi della nostra società occidentale.
La cefalea è un disturbo che interessa ľinfanzia, e ľadolescenza, con un’incidenza assai elevata. Ľentità con cui questo disturbo interferisce con le normali attività quotidiane del bambino si può collocare in un continuum in cui accanto a forme poco fastidiose ve ne sono altre che, creando uno stato di malessere prolungato, lo costringono al riposo assoluto anche per giorni interi. Queste ultime forme, di cui almeno una è geneticamente determinata, sono estremamente invalidanti con ripercussioni sulla vita affettiva, scolastica, familiare del piccolo paziente, e richiedono un impegno diagnostico-terapeutico molto elevato.
Negli ultimi anni le evidenze sperimentali hanno condotto alla comune opinione che nella fisiopatologia delle cefalee primarie, siano rilevanti sia fattori genetici, che fattori ambientali, in una complessa interazione fra loro. Si può considerare presente in ciascun individuo una certa predisposizione, geneticamente ereditata, che condiziona la soglia di reattività del sistema neurovascolare e neuromuscolare, rendendo il soggetto vulnerabile al ricorrere della cefalea, (fattori genetici o centrali). Inoltre le conoscenze attuali sui correlati biologici dello stress sono sufficienti per documentare quali modalità neurofisiopatologiche fanno da ponte fra psiche e soma, per spiegare che cosa potrebbe portare un dolore psichico a trasformarsi in malattia somatica, (fattori ambientali o periferici). A sostegno di ciò, quindi di un’ipotesi che coniuga fattori genetici e fattori ambientali, vi sono lavori di autori scandinavi, che dimostrano che la frequenza delle cefalee idiopatiche è fortemente in aumento rispetto a trenta anni fa, e suggeriscono che ciò dipenda dai mutamenti sociali, familiari ed educativi della nostra società occidentale, improntata ad un modello di sviluppo orientato alla competizione e alľaggressività, e poco incline al riconoscimento ed alľascolto dei bisogni emozionali dei più piccoli.
Come segnala Kandel (2001), molti lavori dimostrano sia negli animali, sia negli esseri umani, che le esperienze precoci, purché si manifestino in periodi specifici, alterano anche durevolmente, la risposta biologica allo stress, possono indurre alterazioni anatomiche nelle strutture implicate (alľelaborazione dello stress), modulando diversamente ľespressione del patrimonio genetico. É probabile che non si possa poi, superati certi periodi critici, modificare in senso positivo la risposta biologica allo stress, se non parzialmente. Tali evidenze neurobiologiche trovano perfetta corrispondenza con quanto sostenuto da tempo dagli psicanalisti delľinfanzia, (M. Klein, Bion, Winnicott ed altri), sulľimportanza delle relazioni precoci nella strutturazione di pattern di risposta affettiva agli stimoli esterni.
In un’epoca di facili entusiasmi e fiducia assoluta nei progressi della genetica e della biologia è frequente ritrovarsi delusi nelle loro ricadute pratiche, soprattutto nelľetà evolutiva, poiché dobbiamo considerare che circa il 30% dei pazienti cefalalgici non risponde ai farmaci, che alcuni soggetti manifestano fastidiosi effetti collaterali, e che ľutilizzo è ancora condizionato dalla frequente diffidenza o paura da parte dei genitori ad utilizzare farmaci tradizionali per i loro figli, che per gli adolescenti il rifiuto dei farmaci rappresenta un modo di affermare la propria autonomia, ed infine che nel caso specifico della cefalee in età pediatrica il repertorio farmacologico disponibile è comunque più limitato rispetto a quello per ľadulto.
Tuttavia il mondo delľetà evolutiva, per quanto già detto, permette di indirizzare la cura al cuore della malattia, attraverso il riconoscimento dei fattori di stress e la loro elaborazione, con anche una presa in carico, psicopedagogica, ed una modifica dello stile di vita e relazionale. Ľindividuazione della dialettica pische-soma, ben compresa dalla psicanalisi e confermata dalla neurobiologia, obbliga ad un approccio clinico, che tenga in conto il più possibile ľimportanza del fattore affettivo, della qualità delle relazioni familiari, e delľinfluenza che gli eventi di vita sfavorevoli hanno per la salute, anche somatica dei bambini, per evitare che un bimbo o un’adolescente vulnerabile, si ammali. É perciò comprensibile, come il lavoro clinico con i soggetti in età evolutiva, malati di emicrania e/o cefalee idiopatiche, ma non solo, non possa fare ľeconomia di prendere in cura il mondo degli affetti e la storia di vita del paziente e dei membri significativi della famiglia.