La dieta per diabetici

PASTA  E  PANE  NON  PIU’  TABU’ : considerazioni intorno alla dieta

Stare a dieta, si sa, non è piacevole per nessuno;  ancor meno starci per  tutta la vita, come è  necessario per i diabetici. Ulteriore motivo di malessere è dover seguire una dieta contrastante con le radicate abitudini alimentari.

I diabetici erano da sempre abituati a sentirsi ripetere le solite raccomandazioni: “pochissima pasta, pochissimo pane, niente zucchero, niente dolci”. Era l’imperante dieta ipoglicidica ed era anche la negazione delle abitudini alimentari del nostro Paese, massima espressione della dieta mediterranea, che nei glucidi ha il suo fondamento.
Ne conseguivano una scarsa adesione alla dieta e grosse difficoltà per il controllo della malattia.  Ma questa è ormai storia.

Da qualche tempo ormai, sotto la spinta soprattutto delle Società diabetologiche anglosassoni, si è assistito alla piena riabilitazione di alimenti precedentemente messi all’indice. Riabilitazione non ispirata da motivi umanitari, per rendere la vita “meno amara”, ma da precise acquisizioni scientifiche circa il metabolismo delle tre maggiori classi di nutrienti (glicidi, lipidi e proteine) in rapporto alla malattia diabetica, in particolare del diabete non insulino-dipendente, il tipo 2, che maggiormente risente di un trattamento dietetico.

I nuovi concetti, pur confermando che in caso di sovrappeso l’apporto calorico deve essere limitato, hanno radicalmente modificato la struttura qualitativa della dieta precedentemente consigliata, riavvicinandola a quella raccomandata per la popolazione generale.

E’ stato infatti dimostrato che concedendo un’abbondante quota glicidica (dal 55 al 60 % della razione totale giornaliera) si ottiene un miglior controllo della glicemia, consentendo, nello stesso tempo, la riduzione sia della quota lipidica (25-30%), sia della quota proteica (10-15 %), ottenendo altri due risultati: la prevenzione delle dislipidemia e del sovraccarico renale.

E’ importante, tuttavia, considerare l’”indice glicemico” del singolo alimento, l’apporto di fibre vegetali (almeno 15 g/1000 kcal) e il  carico glicemico.

Il concetto di indice glicemico è stato introdotto già da molto tempo da David Jenkins, dopo l’osservazione sperimentale in vivo che alimenti contenenti lo stesso tipo e la stessa quantità di carboidrati producevano risposte glicemiche differenti. Questa proprietà dipende da molti fattori (manipolazione della materia prima, contenuto in fibre, grado di cottura) che condizionano la rapidità di assorbimento intestinale.

A ogni alimento è stato assegnato un Indice Glicemico che indica la velocità con cui aumenta la glicemia (cioè il livello di glucosio nel sangue) in seguito all’assunzione di 50  g di un alimento. L’indice glicemico è espresso in termini percentuali rapportandolo all’aumento con la stessa quantità di  glucosio o di pane bianco (indice pari a 100): un indice glicemico pari a 50 indica che l’alimento preso in esame innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio o del pane bianco.

I cibi ricchi di carboidrati vengono ora considerati “buoni”, “abbastanza buoni” o “cattivi”  per i diabetici, non più sulla base del loro contenuto di glicidi, ma per la proprietà dimostrata di produrre maggiore o minore rialzo glicemico dopo la loro ingestione. In linea di massima si può dire che quanto più un alimento è “grezzo”, tanto più è lento il suo assorbimento, tanto più è basso l’indice glicemico, tanto più è buono.

La farina, il pane, la pasta, i biscotti integrali sono migliori dei prodotti raffinati. Lo stesso saccarosio (lo zucchero comune) non è più considerato un alimento proibito se non usato da solo, come dolcificante, ma “nascosto” e mescolato  in altri nutrienti.

Tra gli alimenti a basso indice glicemico si trova la pasta (in particolare, per motivi di carattere tecnologico, gli spaghetti), ma solamente se di grano “duro e al dente”, mentre il pane classico presenta un  indice glicemico più elevato (e rappresenta il parametro con cui si confrontano gli altri alimenti) probabilmente per l’uso di farine di grano tenero e per la sua struttura finale spugnosa che rende più rapido l’assorbimento.

Ad alto indice glicemico sono alcune varietà di riso con minore tenuta alla cottura, mentre altre varietà (come le cosiddette parboiled, specie se cotte “al dente”)  presentano una risposta glicemica più favorevole. A basso indice glicemico sono anche i carboidrati dei legumi e della frutta (specie delle mele e delle pere) e della verdura (pomodori).

Perché è importante non consumare molti alimenti ad alto indice glicemico?

Consumare molti alimenti ad alto indice glicemico aumenta il rischio di accentuare lo scompenso glucidico e molti altri fenomeni patologici: il pancreas insufficiente non è in grado di produrre una quantità di insulina in grado di metabolizzare grossi quantitativi di glucosio in tempi rapidi, per cui gli zuccheri in eccesso vengono depositati sotto forma di tessuto adiposo. 

L’indice glicemico non è l’unico parametro che occorre considerare per calcolare la risposta glicemica. Esiste infatti un altro criterio, il Carico Glicemico, che considera oltre all’indice glicemico medio di un singolo alimento anche la percentuale dei carboidrati in esso contenuta ed è determinato dal prodotto dall’Indice glicemico dell’alimento per la quantità di carboidrati.   Quindi alimenti con alto indice glicemico  possono avere un carico glicemico basso se il loro contenuto in carboidrati è trascurabile. Per esempio, la carota ha un indice glicemico alto ma un basso carico glicemico, mentre nella patata sono alti entrambi; così come un etto di pasta che contiene circa 74  g di carboidrati a medio indice glicemico aumenterà di più la glicemia rispetto a un etto di banane che hanno un indice glicemico più elevato ma che contengono meno carboidrati).
Da alcune tabelle  facilmente  reperibili  “on line” si può prendere conoscenza di quali alimenti siano buoni, quali quasi buoni e quali cattivi per l’alimentazione dei diabetici.

Nessun componente del trattamento del diabete mellito tipo2 è più importante di un regime dietetico adeguato ( oltre ad  una regolare attività fisica).

Se si è in sovrappeso, come capita spesso, un regime alimentare che riporti gradualmente il  peso  verso quello ideale può da solo far <<sparire>> il diabete, oltre che  avere un effetto positivo su tutte le altre concomitanti alterazioni metaboliche.
Nel diabetico in sovrappeso od obeso si  ha, infatti, una ridotta esposizione dei recettori insulinici sulle cellule adipose globose, motivo per cui si ha un aumento della resistenza insulinica.
La perdita di peso, con la conseguente riduzione delle dimensioni degli adipociti, tende a normalizzare questa situazione recettoriale, con miglioramento dell’utilizzazione del glucosio da parte delle cellule.
Non serve avere occasionali dimagramenti, con continue oscillazioni di peso, ma è necessaria la costanza nel mantenere l’Indice di Massa Corporea al di sotto di 25. 

 

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