La sindrome metabolica

Il termine non significa ancora gran che per ľimmaginario collettivo, eppure la Sindrome Metabolica (SM) rappresenta già da ora un problema non da poco per i medici interessati, soprattutto internisti, cardiologi, diabetologi, tanto da indurre qualcuno a chiedersi un po’ enfaticamente se non sarà questa la vera e propria pandemia del terzo millennio!
Dr. Renato Rittatore

Si tratta in realtà di una insidiosa e ancor oggi un pò misteriosa combinazione di patologie ampiamente rappresentate nei paesi industrializzati, quali ľipertensione arteriosa, ľobesità, la dislipidemia, la ridotta tolleranza ai carboidrati se non addirittura il diabete mellito conclamato di tipo 2. Mentre è ampiamente riconosciuta ľimportanza di tali patologie nel determinismo di un aumentato rischio cardiovascolare, sono ancora diverse le incertezze sui meccanismi che le legano insieme fino a configurare la SM, non a caso in passato definita come Sindrome X, quasi a sottolinearne le numerose incognite (anche se non esistono dubbi che il ruolo patogenetico principale sia rappresentato da uno stato di resistenza alľinsulina). Tali incertezze si ripercuotono anche sulla sua definizione, tanto che attualmente non ne esiste ancora una universalmente riconosciuta, anche se ľOrganizzazione mondiale della Sanità (OMS) ne ha definito le caratteristiche. Più recentemente il National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III(NCEP ATP III) ha proposto alcuni criteri più semplificati e pratici per la diagnosi, prescindendo da indagini più elaborate e costose quali la determinazione della microalbuminuria (cioè della quantità di albumina escreta con le urine della notte) e delľinsulinemia basale:

Circonferenza alla vita: > 102 cm nei maschi e 88 cm nelle femmine
Trigliceridi: > = 150 mg/dl
HDL Colesterolo: < 40 mg/dl nei maschi e < 50 mg/dl nelle femmine
Pressione arteriosa sistolica: > = 130 mm di mercurio
Pressione arteriosa diastolica > = 85 mm di mercurio
• Glicemia a digiuno: > = 110 mg/dl.

Per la diagnosi di SM è sufficiente la presenza di tre criteri. Tra i criteri sopra elencati il valore della glicemia a digiuno rappresenta ľindicatore più specifico di una eventuale resistenza insulinica, che come abbiamo visto è proprio il burattinaio che regge i fili della situazione. Infatti una resistenza anormale dei tessuti corporei (in particolare muscoli, cuore, fegato) alľazione delľinsulina provoca un’aumentata escrezione compensatoria di tale ormone da parte del pancreas, con conseguente aumento della sua concentrazione nel sangue (iperinsulinemia). Una glicemia basale tra 110 e 126 mg/dl (oltre i 126 mg per definizione si parla già di diabete!) è altamente suggestiva di iperinsulinemia e resistenza insulinica, situazioni predisponesti alľipertensione e a alľobesità, anche se solamente il 50% degli ipertesi essenziali e ¼ dei soggetti obesi presentano una insulino resistenza.

Recentemente ci sono state varie segnalazioni di una correlazione tra i valori della PCR (Proteina C reattiva, un marker aspecifico di infiammazione), determinata con metodiche ultrasensibili in grado di evidenziarne aumenti minimi, e ľinsulino resitenza. Partendo da questi presupposti uno studio apparso sulla rivista Circulation ha dimostrato che sono proprio i soggetti insulino resistenti a trarre maggior giovamento dalla modificazione dello stile di vita (dieta, esercizio fisico, abolizione del fumo) e dalľeventuale trattamento farmacologico quando indicato. Riguardo a quesťultimo punto, in assenza di un attuale trattamento integrato della SM, non paiono esserci disaccordi circa ľindicazione ad un approccio ancora più aggressivo e precoce sulle singole patologie che la definiscono.

Pertanto possono essere indicate le statine per la correzione e il controllo della dislipidemia (in particolare sembrerebbe più indicata ľatorvastatina per il suo maggior impatto sui trigliceridi), la metformina o i più recenti glitazoni per ľassetto glucidico e ľinsulino resistenza (anche se questo aspetto è ancora oggetto di discussioni), ľallopurinolo per ľeventuale iperurucemia. Indispensabile in questo tipo di soggetti risulta il controllo adeguato delľipertensione, un obiettivo da raggiungere possibilmente ricorrendo a farmaci che non abbiano impatti sfavorevoli sul quadro metabolico, quali gli ACE inibitori o meglio ancora gli antagonisti recettoriali delľangiotensina II. Non si può però concludere senza mettere ancora una volta in evidenza ľimportanza fondamentale, nella prevenzione del rischio cardiovascolare, di una regolare attività fisica di tipo aerobico (walking, bicicletta, nuoto, sci di fondo) praticata almeno 3-4 giorni la settimana, per non meno di 30’- 40’ a livelli energetici sottomassimali.

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Dr.
Renato Rittatore
CIDIMU Torino
Specializzazione in Medicina Interna

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