Dr. Renato Rittatore
Credo che nelľimmaginario collettivo non possa mancare ľimmagine, riportata da libri, stampe, riviste quadri, films, di un ricco/nobile signore con aria sofferente, sdraiato su una poltrona con un piede fasciato e la gamba appoggiata su di uno sgabello, magari con alle spalle i resti di una tavola imbandita dove sono ancora evidenti i resti del lauto pranzo a base di ogni genere di selvaggina, fegato, animelle, ecc, accompagnato da vini di pregio ad alta gradazione: tale immagine è effettivamente rappresentativa di una delle conseguenze delľuricemia elevata, vale a dire la gotta ( o podagra, come veniva anche frequentemente chiamata in passato, a richiamare la localizzazione più frequente del fenomeno infiammatorio, cioè la prima articolazione metatarso falangea del piede).
Malattia in effetti ritenuta a lungo esclusiva dei ricchi o comunque di persone di elevato ceto sociale, in quanto se ne ammalavano soprattutto loro, identificata dagli Egizi già nel 2500 a. C., definita successivamente da Ippocrate nel VI° secolo a.C. e in tempi relativamente più recenti (XVII° secolo) in modo magistrale da Thomas Sydenham, famoso medico inglese affetto lui stesso da gotta; se ne ammalarono personaggi celebri quali Alessandro Magno, Giulio Cesare, Enrico VIII, Carlo V, Voltaire, tanto per citarne alcuni.
In tempi più recenti, grazie (?) alle migliorate condizioni sociali e tenore di vita della popolazione, si può dire che questa patologia sia diventata più popolare , alla portata di tutti, in conseguenza delľincongrua alimentazione attuale, abbinata alla riduzione delľattività fisica con conseguente aumento di obesità, diabete mellito di tipo 2 e sindrome metabolica, come confermato dal netto aumento della sua prevalenza nella popolazione, soprattutto maschile.
Peraltro la gotta rappresenta soltanto la testa delľiceberg di una patologia molto più complessa, che da prove sempre più convincenti sembra interessare diversi organi e apparati quali il cervello, il cuore, il rene, oltre che ovviamente ľapparato articolare, tanto che attualmente ľiperuricemia viene considerata un fattore indipendente di rischio cardiovascolare e una concausa nel deterioramento cerebrale e nelľinsufficienza renale.
Tutto ciò perché ľacido urico è un composto relativamente poco solubile, infatti il suo prodotto di solubilità viene raggiunto a una concentrazione nel sangue di 6 mg/dl: oltre questo valore c’è la possibilità di una precipitazione dei cristalli nei vari tessuti con conseguente danno cronico degli stessi.
Nella specie umana e nei primati (scimmie antropomorfe), oltre che curiosamente nel cane dalmata, da molti milioni di anni non è più possibile eliminare ľeccesso di acido urico mediante la trasformazione in un composto più solubile, ľallantoina, in quanto nel corso delľevoluzione è andato perduto ľenzima che catalizza tale trasformazione, vale a dire ľuricasi: il fatto che tale mutazione si sia mantenuta nel corso dei millenni successivi dimostra che un moderato aumento della concentrazione di acido urico in quella situazione rappresentava un fattore favorevole di sopravvivenza (c’è chi sostiene che abbia contribuito a far guadagnare la stazione eretta grazie al suo lieve effetto ipertensivo, tramite ľaumento del sodio ematico).
Del resto in passato un’uricemia relativamente più elevata veniva correlata positivamente al grado di intelligenza delľindividuo, ipotesi che entro certi limiti può anche essere plausibile, in quanto ľacido urico assomiglia come conformazione chimica alla caffeina, che in piccole dosi è pur sempre uno stimolante a livello encefalico, ma che si scontra contro le evidenze di danni cerebrali causati dalla cronica precipitazione di urati in tale sede quando la concentrazione ematica supera il prodotto di solubilità.
È evidente dunque che questo comportamento un po’ ambivalente del nostro composto dipende solo dalla sua concentrazione nel sangue, vale a dire che gli effetti favorevoli spariscono per far posto a quelli nocivi quando si superano determinati livelli di uricemia.
Cosa si può dunque fare per mantenere nei giusti limiti la concentrazione di acido urico nel sangue? Purtroppo non moltissimo, come vedremo, salvo ricorrere nei casi di necessità ai farmaci.
Infatti la maggior parte delľacido urico presente nelľorganismo proviene dalla sua sintesi endogena che avviene nel fegato e che deriva dal catabolismo delle purine, sostanze che solo in parte assumiamo con ľalimentazione, mentre la maggior parte è già presente nel nostro organismo (sono tra i costituenti degli acidi nucleici): ecco perché ľuricemia aumenta quando per qualche ragione (fisiologica o patologica) avviene un dimagrimento importante!
Inoltre la produzione di acido urico è influenzata non solo dalla quantità di purine assunte con la dieta, ma anche dai passaggi metabolici in corso di sintesi: in particolare la tappa finale della catena è regolata da un enzima, la xantina ossidasi che catalizza la trasformazione delľipoxantina in xantina e da quesťultima infine in acido urico. Orbene, ľeccessiva assunzione con la dieta di fruttosio (uno zucchero semplice, contenuto soprattutto nella frutta, come ricorda il suo nome) può aumentare la produzione di acido urico da parte delľorganismo, in quanto il fruttosio stesso è il substrato delľenzima fosfofruttochinasi, implicato in una reazione esoergonica (cioè con liberazione di energia) irreversibile che porta infine a formazione di AMP ciclico, substrato a sua volta della via biosintetica delľacido urico.
Ma soprattutto la maggior parte delle persone che si trovano ad avere elevati valori di uricemia sono in questa condizione a causa di una ridotta eliminazione renale delľacido urico!
Un’altra causa di iperuricemia può essere iatrogena, legata alľassunzione di diuretici, che aumentano il riassorbimento delľacido urico a livello del tubolo renale: se questo può rappresentare un ragionevole prezzo da pagare per un iperteso e/o cardiopatico scompensato, dovrebbe essere invece materia di riflessione per giovani donne che abusano dei diuretici per ridurre al minimo la ritenzione idrica, alla ricerca ossessionata di una linea da modella!
Quanto meno quindi quello che possiamo fare è evitare il consumo abituale di alimenti ricchi in purine: tra questi, in ordine decrescente di contenuto, oltre a quelli già citati, le sardine in scatola, le lenticchie, le vongole, le cozze, il fegato pollo, bovino, suino, la carne ďoca, i rognoni di bovino.., oltre che, per quanto si è detto, usare con moderazione il fruttosio evitando ľassunzione di succhi di frutta concentrati e bevande edulcorate.
Un’altra buona norma è quella di idratarsi adeguatamente nel corso della giornata, riducendo in questo modo almeno la probabilità di una precipitazione dei cristalli di acido urico a livello delle vie urinarie.
Sulla base di quanto esposto quando il medico decide sulľopportunità di un trattamento per abbassare ľuricemia ha a disposizione tre strategie diverse, anche se quasi sempre la più indicata è la prima:
– Ridurre la sintesi endogena di acido urico impiegando sostanze che vanno ad inibire la catena sintetica proprio a livello della tappa fondamentale già citata, vale a dire la trasformazione della xantina in acido urico ad opera della xantina ossidasi. Numerosi farmaci che vengono usati per altre indicazioni: ipotensivi come il losartan e ľamlodipina, ipolipemizzanti come i fibrati e ľatorvastatina, estrogeni, progestinici.. possiedono in misura minore questa proprietà, ma i due farmaci più impiegati al riguardo sono ľallopurinolo e più recentemente il febuxostat, di cui in particolare il secondo mostrerebbe oltre a un’efficacia maggiore anche la capacità di ridurre le specie reattive delľossigeno (i cosiddetti ROS), imputate nel sostenere la cosiddetta “low grade inflammation” alla base delle disfunzioni endoteliali.
– Aumentare ľeliminazione di acido urico con le urine attraverso farmaci cosiddetti uricosurici, cioè composti in grado di favorire ľeliminazione renale di acido urico riducendone il riassorbimento a livello dei tuboli renali, come ad esempio il sulfinpirazone (per cui peraltro non esiste tale indicazione nella scheda tecnica); tali composti però richiedono cautela nelľutilizzo proprio in soggetti già affetti da insufficienza renale.
– Favorire la conversione delľacido urico in allantoina, che come si è visto rappresenta un prodotto molto più solubile e quindi più facilmente eliminabile, ma questo comporta delle risposte immunitarie (ricordarsi che ľuricasi non fa più parte da milioni di anni del nostro patrimonio genetico!) e quindi tale trattamento, peraltro di notevole efficacia, va riservato a soggetti in trattamento chemioterapico per neoplasie aggressive in rapida evoluzione.
Per concludere una riflessione: Se è vero che nel passato remoto, con altra situazione ambientale e differente “modus vivendi” ľinfiammazione cronica di basso grado ha permesso alla specie umana la sopravvivenza e la sua affermazione, le mutate condizioni di vita sembrano far di questa il killer silenzioso che attenta alla nostra salute innescando le malattie metaboliche, cardiovascolari e degenerative!
Ma di questo avremo modo eventualmente di parlare più diffusamente in seguito.