Dr. Mauro Felletti
Parlare di un antidepressivo è parlare delľuomo e del suo rapporto con la realtà e la sua sensibilità psichica.
“Ognuno sta solo sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole/ed è subito sera” (Quasimodo)
Mi è stato chiesto di parlarvi delle proprietà degli antidepressivi, per illustrarne le caratteristiche farmacologiche e le sue applicazioni. Parlare di un antidepressivo in realtà significa interrogarsi sul dolore psichico in tutte le sue forme a noi conosciute e spesso etichettate, ed ancora in forme sconosciute e che sfuggono ad ogni tentativo di classificazione psichiatrica.
Parlare di un antidepressivo è parlare delľuomo, del suo rapporto con la realtà fenomenica o sensibile e della sua realtà intrapsichica, spesso ignorata o misconosciuta. Agli psichiatri ed agli psicologi vengono speso rivolte domande sulle cause, sulle origini, e sulla cura, quasi sempre con ciò rinunciando a quelľesplorazione, a quelľinterrogazione sul proprio sé, sul proprio fare, per sfuggire al dolore che questo comporterebbe. Ma il dolore è come un’ombra, che non si può sfuggire, e come ľombra può solo mutare aspetto ed è per questo che talora il dolore psichico, rifiutato ed esiliato, non può che trasformarsi per trovare domicilio in sintomo somatico, ove la parola non può più raggiungerlo, e da questo esilio dalla parola il dolore smarrisce il senso profondo che lo ha generato e la sua possibilità di essere compreso ed elaborato.
Dicevo della psichiatria come fonte di sapere su di esso, ma in realtà, tale interrogazione andrebbe rivolta ai poeti, i soli capaci di penetrare i misteri delľanima donando loro la luce nella parola, con metafore che valicando il senso comune, ne comprendono ľautentico mistero. Come ci insegna la poesia, che è spesso metafora di accidentati naufragi esistenziali in cui si rivela la problematicità del rapporto con il reale e la sua inconoscibilità, inafferrabilità, dove ľindividuo estraneo a se stesso, alienato da sé e dal mondo, denuncia con la sua inquietudine lo scacco, la sconfitta delle illusioni di poter dominare il proprio mondo solo con la forza della ragione. Con ciò non rinunciando ad essa, ma essa deve essere tortura incarnata, nel senso profondo di rinuncia alle comode e facili certezze, la ragione come strumento di comprensione non è solo comodo buon senso, ma è appello alla fecondità delľessere nel suo faticoso progettare quotidiano, fuori da ogni facile sentiero già precostituito.
Giunti a questa sponda, porto da cui sempre ripartire, talora può essere necessario ed utile per spingere il nostro veliero ad una nuova navigazione, ricorrere ad un aiuto perché la ragione non può essere orgoglio di sé, ma sempre umile e faticosa ricerca che contempla anche il chiedere aiuto ai mezzi a disposizione.
Oggi la scienza ci offre molteplici possibilità di cura per affrontare il dolore psichico quando questo si è fatto oscuro labirinto dove, persi, vaghiamo ciechi e senza speranza. I rimedi a cui appartiene la paroxetina, come anche la fluoxetina, la fluvoxamina ed altre ancora, sono usualmente utilizzati nel dolore psichico che per convenzione chiamiamo attacchi di panico, disturbi ďansia generalizzati, depressione, eccetera, producendo una frammentazione sintomatologica in cui spesso si smarrisce il senso delľunità delľuomo; meglio sarebbe ancora utilizzare le antiche definizioni freudiane, di nevrosi ďangoscia o ďansia.
Purtroppo pur nella loro indubitabile efficacia, esse vengono prescritte non come una cura nel più complesso processo del prendersi cura, ma come soluzione per risolvere ľequazione della vita, senza attraversare le remote regioni della nostra anima, per conoscerle per quanto possibile, per fare – come diceva il padre della psicanalisi – delľEs sempre più casa dell’Io, per compiere quella rivoluzione dei sentimenti che partendo dal loro ri-conoscimento, li trasformi in attivo movimento. In questa prospettiva la cura è parte di quel vento che gonfia le vele della nostra nave da troppo tempo ferma, per tornare a respirare ľincanto del mare aperto, guardando alľorizzonte da cui sorge il nuovo mattino, come una nuova occasione per raggiungere quelľoltre, che non è sfida ma movimento vitale per ri-trovare se stessi.