2 MAGGIO 2024
Pubblicato da GRUPPO CIDIMU

Di fronte a  disturbi ricorrenti e/o imprevedibili  il primo pensiero del paziente viene  spesso indirizzato a qualcosa di estraneo alľorganismo: “sarò allergico?”
In molti casi il sospetto si rivelerà  fondato,  ma in alcune  situazioni cliniche  si potrebbe erroneamente sovrastimare la responsabilità delľallergia a scapito di altre patologie.

Le reazioni allergiche (o da sospetta causa allergica) devono innanzitutto essere trattate e guarite con la terapia farmacologica antireattiva e  -quando possibile-  con ľimmediata sospensione del contatto tra allergene e malato (ad es.: interrompere un farmaco,  allontanarsi dal gatto, ecc.). 
 
Ma non sempre è immediato il riconoscimento del  rapporto di causa/effetto: lo stimolo (allergenico) non è evidente oppure il contatto è rimasto occulto oppure si é verificato  molte ore prima delľinizio dei disturbi.
In questi casi si procede al trattamento farmacologico anti-reattivo, i cui presidi – impiegati con modalità di volta in volta adeguate alla reazione allergica che si sta osservando-  sono in parte tipici delle reazioni allergiche (antistaminici, adrenalina) e in parte comuni ad  altre situazioni cliniche della medicina ďurgenza (steroidi,  broncodilatatori, accesso venoso,  soluzione fisiologica,  ossigeno, assistenza ventilatoria ed altre risorse).
Superata la fase acuta, si procede alla diagnostica allergologica.  Per giungere alla conclusione diagnostica  si utilizzano accertamenti  (esame clinico, test  in vivo,  test in vitro, esami strumentali) di complessità crescente con ľobiettivo di ottenere una diagnosi di certezza oppure di esclusione. Il procedimento viene illustrato al paziente nel corso della consultazione specialistica.
 
Talvolta la narrazione clinica del paziente è fortemente suggestiva per allergia e gli esami allergologici hanno solo lo scopo di confermare la sensibilizzazione che appariva già evidente alľanamnesi. E se ľiter diagnostico non ha consentito ľindividuazione di una sensibilizzazione (“i test sono risultati negativi”) ma la storia clinica persiste suggestiva per allergia, si  dovrà concludere che i test sono negativi ma  solo “per gli allergeni testati”: ľallergia rimane sospettata  ma non è stata dimostrata!
 
Ma anche di fronte alla positività dei test allergometrici occorre effettuare una corretta interpretazione. Infatti,  quando si individuano una o più sensibilizzazioni in un determinato paziente, prima di concludere ľiter diagnostico e instaurare la terapia specifica (soprattutto nel caso della terapia iposensibilizzante) deve apparire  forte la correlazione  tra i sintomi manifestati e ľallergene individuato. Se ľinsorgenza dei sintomi (ricorrenti o cronici) o delle reazioni (acute) non correlano con il tipo di allergene si rende opportuna una revisione della diagnosi: nonostante la sensibilizzazione, potrebbe  non essersi trattato di allergia!
 
Infine, vi sono casi nei quali la storia clinica nel suo complesso e i test diagnostici  negativi  consentono  di  concludere che non si è trattato di allergia. In questi casi la diagnostica allergologica dovrà proseguire, ampliare ľorizzonte e considerare le principali cause internistiche potenzialmente correlabili ai disturbi (o alle  reazioni acute) che ha manifestato quella  determinata persona. E ľallergologo dovrà prendere in considerazione anche altri meccanismi -in alternativa a quelli IgE mediati che sono stati esclusi-  per interpretare i sintomi che si erano presentati simulando un’allergia.  In definitiva,  tra i compiti della valutazione allergologica   vi  è anche  ľinterpretazione e la terapia  della  "non-allergia".