8 MARZO 2024
Pubblicato da GRUPPO CIDIMU

Una proteina chiave nella risposta cardiaca al sovraccarico cronico di pressione.
Dr. Renato Rittatore

Negli anni passati sono apparsi su vari quotidiani e su Internet articoli di commento al lavoro di un’èquipe di ricercatori italiani facenti capo al Dipartimento di Genetica delľUniversità di Torino e a quello di Angiocardioneurologia "Neuromed" di Pozzilli (IS). La ricerca, pubblicata on line sulla prestigiosa rivista Nature Medicine, rappresenta un contributo innovativo per la comprensione dei complessi meccanismi molecolari che sono alla base delľipertrofia cardiaca. Vediamo dunque di riassumerne i contenuti con un linguaggio che sia il più possibile comprensibile anche ai non specialisti della materia, ma che al tempo stesso rimanga nei limiti delľesposizione scientifica, onde evitare distorsioni ed enfatizzazioni proprie degli articoli divulgativi destinati al grosso pubblico.

É necessaria però una premessa.

Abbiamo già visto nel precedente articolo Il cuore grosso, come ľipertrofia concentrica rappresenti, almeno inizialmente, un meccanismo favorevole che il cuore mette in atto per ovviare a un sovraccarico meccanico o a stimoli umorali che a loro volta riconoscono cause diverse quali ľipertensione arteriosa o malattie delle valvole cardiache; in altri casi si tratta invece di alterazioni primitive del muscolo cardiaco geneticamente determinate, come nel caso della cardiomiopatia ipertrofica. Era stato però evidenziato che questo meccanismo di compenso col tempo non solo perde di efficienza, ma è esso stesso alla base di una serie di conseguenze negative che portano inevitabilmente in tempi variabili alla dilatazione e quindi allo scompenso cardiaco. D’altra parte un’evoluzione ancora più sfavorevole si verifica nei soggetti in cui fin dalľinizio ľpertrofia non risulta adeguata a causa di un rimodellamento eccentrico, che porta in tempi più brevi alla fase dilatative. É evidente quindi ľimportanza di studiare e comprendere i meccanismi implicati nelľipertrofia cardiaca e soprattutto nelľevoluzione successiva in dilatazione disfunzione contrattile.

Il razionale della ricerca in questione trova i presupposti in un precedente lavoro del gruppo torinese, pubblicato nel 1999 su J.Biol. Chem., che aveva permesso di identificare una proteina muscolo specifica in grado di interagire con la parte intracellulare di un’altra proteina complessa, appartenente alla famiglia delle integrine, molecole molto diffuse nel tessuto connettivo, ma non solo, che rivestono un ruolo fondamentale nei rapporti di adesione tra cellule contigue e tra cellule e sostanza fondamentale delľinterstizio. Questa nuova proteina era stata chiamata melusina, come ľomonima eroina delle leggende popolari bretoni cui in seguito Paracelso (medico, chimico e filosofo svizzero vissuto a cavallo tra il XV e XVI secolo) diede il significato di una proiezione psichica, ai limiti tra sogno e realtà, che ci viene in soccorso nei momenti critici.

Lo studio attuale si è proposto di valutare gli effetti sul muscolo cardiaco del topo di una carenza di melusina, dapprima in condizioni fisiologiche e successivamente durante un sovraccarico permanente di pressione. A tale scopo sono stati confrontati due gruppi di topi, uno dei quali era composto da animali privati, tramite interventi di ingegneria genetica con sonde a base di frammenti di DNA e successiva selezione, del gene deputato a produrre melusina. Entrambi i ceppi quello selvaggio e quello melusina privo, sono stati seguiti sotto il profilo evolutivo, clinico ed ecocardiografico per 18 mesi. Non sono state riscontrate significative differenze riguardo ai parametri menzionati, il che ha indotto a ritenere che melusina non sia necessaria per lo sviluppo del cuore né per la sua funzionalità e trofismo in condizioni fisiologiche. A questo punto ľosservazione ha riguardato altri due gruppi di topi delľetà di 10/16 settimane, uno dei quali nuovamente melusina privo, cui era stato provocato un sovraccarico permanente di pressione tramite un dispositivo (impiantato sotto anestesia sulľaorta trasversa) che permetteva di restringere in modo variabile il lume del vaso. Tale riduzione del diametro aortico produce inevitabilmente un aumento delle resistenze a valle del ventricolo sinistro e quindi uno stress pressorio permanente, analogamente a quanto si verifica in quella forma di ipertensione arteriosa secondaria, per fortuna piuttosto rara, che va sotto il nome di coartazione aortica.

Questa volta ľosservazione clinica ed ecocardiografica protrattasi per quattro settimane dopo ľintervento ha evidenziato una significativa differenza tra i due gruppi, sia in termini di sopravvivenza, sia di parametri ecocardiografici. Più precisamente la mortalità nel gruppo melusina privo è stata del 53,3% contro il 30,3% del ceppo nativo, mentre alľecocardio, a fronte di una tipica ipertrofia concentrica compensatoria sviluppata dai topi con melusina, si è evidenziato nel gruppo melusina privo un rimodellamento eccentrico, come tale sfavorevole alle performances cardiache e a maggior rischio di evoluzione in dilatazione e scompenso. Analoghe differenze non sono invece state riscontrate allorquando come stimolo stressogeno permanente sul ventricolo sinistro è stata impiegata ľinfusione continua di sostanze di riconosciuto stimolo ipertrofico sul cuore, quali ľangiotensina II e ľepinefrina, somministrate ovviamente a dosaggi sotto la soglia ipertensogena. Gli autori ne hanno quindi dedotto che melusina funziona come un sensore attivato solo dagli stimoli meccanici (e non umorali) e che, tramite la sua interazione con ľintegrina beta 1, è in grado al tempo stesso di comportarsi da starter dei complessi meccanismi molecolari che sono alla base delľipertrofia, sui quali non è ovviamente il caso di soffermarsi in questa esposizione. In sintesi con melusina il cuore è capace di adattarsi meglio allo stress meccanico cronico e ritardare così la dilatazione e la comparsa delľinsufficienza contrattile.

Naturalmente, prima di lasciarsi prendere da eccessivi entusiasmi, bisogna considerare innanzitutto che questi risultati dovranno essere verificati (con altra metodologia) sulľuomo. Inoltre la reciproca interferenza di fattori meccanici e umorali e la complessità dei meccanismi molecolari alla base del rimodellamento cardiaco pongono oggettive difficoltà riguardo a favorevoli ricadute terapeutiche in tempi brevi (quali potrebbero essere la somministrazione della proteina di sintesi in soggetti carenti o a forte rischio di scompenso).

Da quanto esposto possiamo però riconoscere fin da ora che melusina non ha certo usurpato quel significato immaginifico di soccorritrice insito nel personaggio della fata celtica!